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In una Seoul fatta di sale da gioco per patiti di go (nome giapponese col quale è più conosciuto il gioco da tavola di origini cinesi del weiqi) – siano essi malati di scommesse, giovani aspiranti professionisti o altri tipi umani più o meno delusi da quella vita che ha per scacchiera le strade della città – e da locali notturni gestiti da malavitosi di caratura criminale non propriamente eccelsa, l’incontro casuale tra Nam-hae, taciturno boss di una banda di mezza tacca che fa affari con lo strozzinaggio, e Min-su, ombroso talento del go che per questioni personali non è mai diventato un vero professionista, darà sostanza a un rapporto allievo-maestro insolito e dalle conseguenze impreviste.
Cho Se-rae, alle spalle una lunga carriera di sceneggiatore e scrittore, debutta alla regia nel lungometraggio con The Stone, una storia che rovescia alcuni degli stereotipi tipici dei film incentrati sul dualismo maestro-allievo; in primis, il rapporto di anzianità: qui il discente è un imberbe ometto che effettivamente della propria vita non pare sapere bene che farci, uno che ha un talento e lo spreca perdendo le giornate a usarlo per maneggi di gioco d’azzardo (un vizietto di cui già la madre è stata vittima, del resto), mentre il discepolo è un criminale ben versato nei fatti e nei codici del sottobosco malavitoso, che da giovane aveva forse desiderato imparare il go e le sue tecniche ma che si ritrova ora a cinquant’anni a richiedere i servigi di un maestro della disciplina che potrebbe essere suo figlio.
È il ribaltamento di prospettive a tenere desto l’interesse per una storia altrimenti da ascrivere al dominio del convenzionale per certo cinema, soprattutto di provenienza sudcoreana: piccoli gangster (un po’ romantici) e pugni in faccia, montati su una storia a scelta. Ed è proprio in questo che si può giudicare The Stone come un film riuscito: nella capacità di non dare per scontate le psicologie dei personaggi e nel tracciarne una loro evoluzione durante le due ore di durata, trovando il tempo per articolare sfumature e piccoli cambiamenti di prospettiva da ambo le parti, quella di Min-su e quella di Nam-hae, ognuno alla scoperta di un mondo che non conosceva, sia esso quello dei rigidi schemi del go o del codice di onore aspro, ma anche fascinoso, della malavita. Su questo schema di ribaltamenti in evoluzione Cho innesta pian piano anche un climax di violenza e un paio di sottotrame tra intrigo e tradimento, piccole ma importanti, che conducono a un finale che, una volta tanto per un film del genere, non sbrodola troppo e riesce a tenersi in equilibrio tra (melo)dramma e secca morale.
paese: Corea del Sud
anno: 2013
regia: Cho Se-rae
sceneggiatura: Cho Se-rae
attori: Cho Hyun-seung, Kim Roi-ha, Park Won-sang
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