“Mi scuso, perché in questo film non ci saranno spargimenti di sangue, né teste che rotolano”. Ha voluto imbrogliare il pubblico della Quinzaine, Miike Takashi, presentando a Cannes la sua ultima fatica, First Love. E se qualcuno aveva tirato un sospiro di sollievo, le prime scene del film lo avranno certamente fatto ricredere, con il loro profluvio di cazzotti e perdite ematiche.
I protagonisti sono Leo, un pugile, e Monika, prigioniera della yakuza, che la obbliga a prostituirsi e l’ha resa una tossicodipendente costantemente in crisi di astinenza. I due si trovano coinvolti in un complotto che li porterà a scontrarsi con un variegato gruppo di personaggi, corrispondenti ad altrettante forme di insana bizzarria: un emissario della yakuza, un poliziotto corrotto, un killer delle triadi cinesi con un braccia solo e così via, con crescente tendenza all’eccesso. La reciproca mancanza di lealtà genererà incomprensioni che vireranno presto nella più assurda e incontrollata violenza collettiva. Chi conosce il cinema di Miike in genere può prevedere ciò a cui va incontro. E il regista, che ne è pienamente consapevole, ha voluto ripagare il suo pubblico con uno spettacolo di piombo e grand guignol che raramente delude le attese. O meglio, “raramente” in proporzione alla carriera di un regista che ha girato più di cento film in una trentina di anni. Rispetto agli ultimi lavori, assai altalenanti, First Love (Hatsukoi) ha il merito di mettere in chiaro da subito il suo intento, senza cercare goffi sincretismi di genere. Nonostante le teste mozzate e le katane sguainate, siamo in pieno territorio slapstick, in un teatro dell’assurdo che riduce a farsa quel che ai tempi di Ichii the Killer (2001) era una feroce e abrasiva provocazione intellettuale, a pochade quel che un tempo, in Miike, faceva davvero paura. Il punk estremista oggi assomiglia a un clown un po’ pacioccone, che gioca con stilemi consunti e strizza l’occhio continuamente al suo popolo. Fino a una scena in cui il disegno sostituisce il live action, per l’evidente impossibilità di supplire alle esigenze di messa in scena con l’esiguo budget a disposizione. Il contesto farsesco non esclude però la presenza di gag talora quasi irresistibili (su tutti i messaggi lasciati in segreteria telefonica da un oncologo terribilmente incauto), specie quando a condurre il gioco è Sometani Shota, volto sempre più convincente del cinema giapponese odierno. Il suo ghigno ebete, che permane anche quando la testa non riposa più sulle sue spalle, è il simbolo di un divertissement che è l’ideale soprattutto per i completisti e i nostalgici degli anni Novanta. Chiunque voglia indagare su quali siano le ragioni che hanno cementato il mito di Miike dovrebbe invece rivolgersi altrove.
paese: Giappone
anno: 2019
regia: Miike Takashi
sceneggiatura: Nakamura Masa
attori: Sometani Shota, Murakami Jun, Kubota Masataka, Becky, Konishi Sakurako, Uchino Seiyo, Omori Nao